Vi avverto che vivo per l’ultima volta. Noi e Anna Achmatova

«E noi, che cosa stiamo diventando? E io, cosa sono diventato?» si chiede Paolo Nori. E la risposta viene da una lontananza che in verità brucia distanze e porta con sé, come fosse turbine di visioni, di fatti, di sentimenti, e naturalmente di poesia, la vita di Anna Achmatova.
«Vogliamo raccontare» dice Nori «la storia di Anna Achmatova, una poetessa russa nata nei pressi di Odessa nel 1889 e morta a Mosca nel 1966. Anche se Anna Achmatova voleva essere chiamata poeta, non poetessa, e non si chiamava, in realtà, Achmatova, si chiamava Gorenko; quando suo padre, un ufficiale della Marina russa, seppe che la figlia scriveva delle poesie, le disse “Non mischiare il nostro cognome con queste faccende disonorevoli”. Allora lei, invece di smettere di scrivere versi, pensò bene di cambiar cognome. E prese il cognome di una sua antenata da parte di madre, una principessa tartara: Achmatova». Anna era una donna forte, una donna che, «con la sola inclinazione del capo – come ebbe a dire Iosif Brodskij, suo amico e futuro premio Nobel – ti trasformava in homo sapiens». “Suora e prostituta” per i critici sovietici, esclusa dall’Unione degli scrittori, privata degli affetti più cari, diventata, durante la Seconda guerra mondiale, la voce più popolare della Russia sotto l’assedio nazista, indi rimessa al bando, sorvegliata, senza mezzi. Ha profuso ostinazione e fermezza. Ha patito come patiscono le anime che, anche quando cedono, non cedono. Non ha smesso di scrivere, anche quando la sua poesia si poteva soltanto passare di bocca in bocca. Ha saputo, alla fine della sua vita, essere quel che voleva diventare: la più grande poetessa, anzi, il più grande poeta russo dei suoi tempi.
Dopo essere entrato in quella di Dostoevskij, Nori entra in un’altra vita incredibile, ma questa volta ci rendiamo conto che, nell’avvicinare Anna a noi come siamo diventati, e noi alla Russia come è diventata, ci troviamo di fronte a un’urgenza crudele, a una figura che ci guarda, ci riguarda, e ci tocca più forte dove siamo ancora umane creature.


Paolo Nori, che è nato a Parma nel 1963 e abita a Casalecchio di Reno, è laureato in letteratura russa e ha pubblicato molti libri tra i quali Bassotuba non c’è (1999), Si chiama Francesca, questo romanzo (2002), Noi la farem vendetta (2006), La meravigliosa utilità del filo a piombo (2012), La piccola Battaglia portatile (2015), I russi sono matti (2019), Che dispiacere. Un’indagine su Bernardo Barigazzi (2020), Sanguina ancora. L’incredibile vita di F. M. Dostoevskij (2021), e A cosa servono i gatti (2021).
Insegna traduzione letteraria dal russo alla Iulm di Milano.
Ha tradotto e curato opere di Puškin, Gogol’, Lermontov, Turgenev, Dostoevskij, Tolstoj, Gončarov, Leskov, Čechov, Chlebnikov, Charms, Bulgakov, Arkadij e Boris Strugackij e Venedikt Erofeev.
In particolare, ha tradotto e curato per i I Classici Feltrinelli Anime Morte di Nikolaj Gogol’, Oblomov di Ivan A. Gončarov e Umili prose di Aleksandr Puškin.
Nel 2022 è uscita la sua traduzione di Memorie del sottosuolo di Fëdor Dostoevskij per Garzanti, mentre nel 2023 ha scritto la prefazione a Le avventure di Guizzardi di Gianni Celati per Feltrinelli.
Nel 2023 esce per Mondadori Vi avverto che vivo per l’ultima volta. Noi e Anna Achmatova.
Sempre nel 2023 scrive e interpreta Due volte che sono morto, un podcast di Chora Media per Rai Play Sound.

Tra il 2023 e il 2024 Mondadori ripubblica Le cose non sono le cose, Grandi Ustionati e Diavoli nella collana Oscar. Sempre per gli Oscar Mondadori, Nori cura Discorso su Puškin di F. M. Dostoevskij, in uscita nel 2024.

Il suo ultimo libro è Una notte al museo russo, pubblicato da Laterza nel 2024.

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