Ugo Cornia

Ugo Cornia è nato a Carpi nel 1965.

Laureato in filosofia a Bologna, è insegnante di lettere in una scuola superiore di Modena.
Ha cominciato a pubblicare sulla rivista Il semplice (1995-1997), a cura di Gianni Celati, Ermanno Cavazzoni e Daniele Benati.
Suoi racconti sono anche apparsi su altre riviste, come Il Caffè illustrato, Diario, L’Accalappiacani. Ha collaborato con La Gazzetta di Modena. Esordisce con Sellerio nel 1999 con Sulla felicità a oltranza, a cui segue Quasi amore (Sellerio, 2001), Roma (Sellerio, 2004), Le pratiche del disgusto (Sellerio, 2007), Le storie di mia zia (Feltrinelli, 2008) e Sulle tristezze e i ragionamenti (Quodlibet, 2008).
Nel 2009 ha pubblicato col pittore Giuliano Della Casa il volume Modena è piccolissima.
Più recenti sono gli scritti: Operette ipotetiche (Quodlibet, 2010), Autobiografia della mia infanzia (Topipittori, 2010), Il professionale. Avventure scolastiche (Feltrinelli, 2012), Scritti di impegno incivile (Quodlibet, 2013), Animali: (topi gatti cani e mia sorella) (Feltrinelli, 2014), Sono socievole fino all’eccesso. Vita di Montaigne (Marcos y Marcos, 2015), Buchi (Feltrinelli, 2016) e Favole da riformatorio (Feltrinelli, 2019).
Ha vinto il Premio Bergamo, il Premio Nazionale letterario Pisa per la sezione Narrativa e il Premio Frignano.
Nel 2022 torna in libreria con Sulla felicità a oltranza (La nave di Teseo).


Sulla felicità a oltranza

Favole da riformatorio

Buchi

Una storia coinvolgente in cui chiunque può riconoscersi.

1993, 1995, 1996 sono gli anni che segnano la vita di Ugo. I momenti in cui sono scomparsi la zia, la madre e il padre, il nucleo centrale dei suoi affetti e le fondamenta su cui si reggeva il suo mondo di giovane uomo. “Anni molto faticosi ma belli,” per dirla con le sue parole, in cui la sofferenza per le perdite si mischia, nel racconto, alla poesia e alla dolcezza del ricordo delle piccole cose. Gli amori, le avventure, le sparizioni, le gioie e i dolori di chi deve continuare a vivere in bilico tra tristezza e desiderio di felicità, mentre fa i conti con la reinvenzione di sé e delle proprie certezze. “Sulla felicità a oltranza”, libro con cui Ugo Cornia ha esordito nel 1999 rivelandosi uno degli autori italiani più interessanti della sua generazione, è un racconto dolcemente malinconico, teso tra il rimpianto e la volontà di essere felici, una storia coinvolgente in cui chiunque può riconoscersi.

Lupi sfrattati o in pensione, alci disoccupate che si ammalano di depressione, Raperonzolo, Cipollonzolo e Pomodoronzolo rapiti dalla jihad agroalimentare, un gattino che voleva diventare il gatto con gli stivali ma non ha i soldi per comprarsi degli stivali…

Attingendo dalla tradizione classica delle favole, e stravolgendola, Ugo Cornia scrive e riscrive venti fabliaux contemporanei, rispettandone per argutezza lo spirito antico ma attualizzandone la critica sottesa ai comportamenti e ai costumi del nostro vivere. Senza mai rinunciare alla leggerezza e a uno stile piano, accessibile, queste favole si aprono spesso allo scavo profondo dei sentimenti – per esempio ne La favola della cicogna, che “dopo una vita di lavoro indefesso, ormai stanca di tutto, aveva sviluppato in sé il sentimento dell’estrema tragicità dell’esistere, cosa che nella sua testa si traduceva nella frase ‘meglio sarebbe stato il non esser mai nati’”. Non manca neppure l’ironia nei confronti di alcune mode editoriali, come nella favola che chiude la raccolta – quella dei personaggi di favole famose che un bel giorno hanno voluto lasciare la propria favola per trasferirsi in un noir.

Aprire un cassetto, una scatolina rossa, una bella cassapanca coi piedi di leone, un’angoliera – tutti oggetti che stavano nella vecchia casa di famiglia – e trovarci dentro “un richiamo come all’indietro”. Un richiamo a un passato ricevuto in eredità ma di cui il cinquantenne Ugo ha solo pochi ricordi: la casa di Guzzano, un tempo piena di vita ma già vuota dopo la sua nascita, già solamente casa di vacanze, e poi la zia Bruna, la zia Maria, la zia Fila, il nonno, lo zio Renato, lo zio Arrigo…

Di fronte a questo vuoto, a questo buco impossibile da riempire ma che è ormai necessario attraversare, Ugo non può che inventarsi il proprio modo per creare “un piccolo centro d’ordine in mezzo alle forze del caos”. E il modo che si inventa è raccontare. Allora ecco che dal passato sorgono frammenti, piccole avventure, le corse in macchina con il nonno, l’aia di notte, il favo dei calabroni nel sottotetto, l’amore alla falsa diga del Limentra, visi in penombra, frasi che ritornano, che non si è mai finito, sembra ieri, forza e coraggio. Ma soprattutto emozioni, piccole angosce, malinconie, un po’ di sollievo. Sennonché chi racconta ha l’abitudine di evitare, di scantonare, di “slaterare”, perciò alle emozioni sigillate dentro a quei cassetti antichi arriva piano e slaterando, appunto, parlando di chi ha conosciuto appena per arrivare infine alla perdita dei genitori: allo smantellamento degli affetti più cari. “E altri smantellamenti ci saranno ancora, nell’universale e continuo smantellamento di tutte le cose.”

Con una comicità intrisa di nostalgia, Ugo Cornia affronta il “mistero grande delle emozioni” attraverso un romanzo nutrito di scarti spiazzanti e docili riprese, restituendoci le contraddizioni e le seducenti insensatezze del nostro mondo interiore.

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