Pietrangelo Buttafuoco

Pietrangelo Buttafuoco è nato a Catania nel 1963 e vive a Roma. È giornalista e scrittore.
Ha pubblicato Le uova del drago (Mondadori, 2005, finalista al Premio Campiello 2006, riedito da La Nave di Teseo, 2024), L’ultima del diavolo (Mondadori, 2008), Il Lupo e la Luna (Bompiani, 2011), Il dolore pazzo dell’amore (Bompiani, 2013), I cinque funerali della signora Goring (Mondadori, 2014), La notte tu mi fai impazzire (Skira, 2016), I baci sono definitivi (La Nave di Teseo, 2017), Sotto il suo passo nascono i fiori (con Francesca Bocca-Aldaqre, La nave di Teseo, 2019), Salvini e/o Mussolini (PaperFIRST, 2020).
Tra i saggi, ha pubblicato Fogli consanguinei (Edizioni Ar, 2003), Cabaret Voltaire (Bompiani, 2008), Buttanissima Sicilia (Bompiani, 2014), Il Feroce Saracino (Bompiani, 2015), Strabuttanissima Sicilia (La Nave di Teseo, 2017); insieme a Carmelo Abbate Armatevi e Morite (Sperling & Kupfer, 2017).
In occasione dei settant’anni di vita della casa editrice Longanesi, ha curato, nel 2016, Il mio Leo Longanesi, un’antologia di aforismi, epigrammi e racconti.
Nel 2018 ha scritto la prefazione de La repubblica dei vinti. Storie di italiani a Salò di Sergio Tau (Marsilio, 2018).

È autore di spettacoli teatrali tra cui: Strabuttanissima Sicilia con Salvo Piparo e Il Dolore Pazzo dell’Amore con Mario Incudine.
Scrive per Il Quotidiano del Sud.
Il suo ultimo romanzo si intitola Sono cose che passano ed è stato pubblicato nel 2021 (La nave di Teseo).
Nel 2023 ha pubblicato con Longanesi Beato lui. Panegirico dell’arcitaliano Silvio Berlusconi.

Il 26 ottobre 2023 viene designato presidente della Fondazione La Biennale di Venezia.


Le uova del drago

Beato lui

Sono cose che passano

Salvini e/o Mussolini

Sotto il suo passo nascono i fiori

Strabuttanissima Sicilia

Armatevi e morite

I baci sono definitivi

La notte tu mi fai impazzire

Il mio Leo Longanesi

Capitò di tutto, in Sicilia, tra il 1943 e il 1947. Anche che il migliore soldato tedesco fosse una donna, Eughenia Lenbach, bella e giovane. Una spia selezionata direttamente da Hitler per una missione di estrema importanza. Nome in codice “Uova del Drago”: in caso di sconfitta del Reich sarà lei a dover organizzare presso le giovani generazioni focolai di riscossa. Ad aiutarla, proprio mentre gli alleati sbarcano sull’isola, undici musulmani travestiti da frati cappuccini. Pietrangelo Buttafuoco mette in scena una storia vera, intricata e affascinante; e lo fa coniugando un realismo venato di umori sulfurei con il ritmo fantastico del teatro dei pupi; fondendo il mondo corrusco e taciturno delle saghe nordiche con la loquace solarità mediterranea nell’unione più bizzarra eppure coerente che si possa immaginare, in un romanzo sul potere, sull’onore e sulla storia scritta dai vinti.

È impossibile scrivere la parola fine al romanzo di Berlusconi. Non è scandito da capitoli o da vicende che seguano una logica temporale, i personaggi appaiono elusivi, i periodi sono pieni di incisi e subordinate, le note a margine in continua evoluzione. Il lavoro di un editor ne uscirebbe sconfitto.
La storia di Arcisilvio è piuttosto un affastellarsi di scene, di performance, di brevi novelle dove è possibile affermare una verità e il suo contrario.
Pietrangelo Buttafuoco, uomo di teatro, sa disvelare tutti i ruoli di Silvio: drammaturgo, scenografo, suggeritore, datore luci, interprete e regista. Il sipario non scende mai, il protagonista continua e continuerà per sempre a calcare il palcoscenico perché ogni sua asse l’ha immaginata, costruita e levigata lui.
Buttafuoco si trova quindi, da grande capocomico qual è, a raccontare la commedia del Cavaliere, la cui unicità coincide con l’Italia stessa. Ogni giorno è il giorno giusto per far uscire questo libro ma ogni giorno il testo è da rimettere a posto, e dunque non esiste altro criterio che quello dell’arte, dell’improvvisazione teatrale, e giammai del giornalismo, per poter ricostruire la macchina scenica e raccontare la straordinaria epopea del Cavaliere.
Tutti i generi gli si addicono, tutti i generi sono limitanti. Da Totò contro Maciste all’Armata Brancaleone, dall’Elisir d’amore al Riccardo III di Shakespeare, da Molière a Goldoni.
Pietrangelo Buttafuoco, grande acrobata della parola e cultore della mistica, e quindi dell’invisibile, identifica e ricuce le pezze d’appoggio, individua e unisce nuovi puntini che ritraggono il personaggio più contemporaneo della contemporaneità, colui che come Mary Quant inventò la minigonna e cambiò per sempre i tempi. Facciamocene una ragione.

Nel secondo dopoguerra il barone di dubbia nobiltà Rodolfo Polizzi sposa Ottavia principessa di Bauci e la porta con sé a Leonforte, un paese dell’entroterra di Sicilia. In quell’estate del 1951 dove, poco lontano, sull’isola di Vulcano Roberto Rossellini s’innamorava di Ingrid Bergman e, a Capo d’Orlando, Lucio Piccolo con i fratelli Casimiro e Agata Giovanna – zii di Ottavia – ricevevano il jet set internazionale, a casa del candido Rodolfo arrivava Lucy Thompson, la compagna di college della moglie a svegliare i trascorsi di gioventù della principessa, tutti di strani riti e sabba studenteschi. Sotto gli occhi della signorina Lia, entusiasta testimone di una stagione elettrizzante, mentre il barone Polizzi si ammala e la principessa si lascia sedurre da un capomastro, l’intera Leonforte si trasforma in un pandemonio. Ma qualche anno dopo Carlo Delcroix, un eroe soldato – cieco e mutilato – la spinge a una scelta cruciale, ma forse vana.
Un romanzo seducente e infuocato come la Sicilia, un divorzio all’italiana che Pietrangelo Buttafuoco trasforma in un moderno Faust al femminile.

La Lega e il suo leader, Matteo Salvini, sono nientemeno il ritorno del fascismo e del suo capo, Benito Mussolini? Una parte dell’opinione pubblica è convinta di sì. In particolare la Sinistra – che per l’autore rappresenta il nucleo identificativo dell’italiano irreggimentato nei riflessi condizionati – fa infatti del Carroccio e del Capitano, che l’ha portato a diventare il primo partito, il pericolo Numero Uno della società civile. Così, prendendo spunto da un titolo di Ezra Pound – Jefferson e/o Mussolini – dove il poeta racconta in parallelo il presidente degli Stati Uniti e il Duce, la penna raffinata di Pietrangelo Buttafuoco – collaboratore del Fatto quotidiano – raffronta i due personaggi. Sotto il segno del populismo escono fuori dei ritratti formidabili, che sciolgono ogni dubbio su analogie e somiglianze. «Come fare il confronto tra Rita Hayworth e non so chi, laddove Mussolini è la femme fatale hollywoodiana e Salvini è – al più – una Elettra Lamborghini, calzante come esempio perché quest’ultima è un’irresistibile influencer».

Quando, in punto di morte, Goethe mosse il suo indice dal basso verso l’alto, i testimoni che gli erano vicini rimasero sorpresi: per secoli questo gesto è rimasto emblematico e inspiegabile.

Oggi, grazie alla suggestiva ricostruzione di Pietrangelo Buttafuoco e di Francesca Bocca-Aldaqre, possiamo coglierne il senso: si tratta di un gesto simbolico della shahāda, la testimonianza di fede che ogni musulmano deve compiere in punto di morte per riaffermare di credere nel Dio unico. Attraverso una lunga e approfondita ricerca negli archivi e negli epistolari di Goethe, seguendo le testimonianze di coloro che gli furono più vicini, gli autori raccontano la scoperta e l’avvicinamento del grande scrittore tedesco all’Islam, rintracciandone l’influenza nell’opera poetica, teatrale e saggistica. Un’influenza vissuta però in modo estremamente peculiare e del tutto attuale, e che testimonia della capacità di Goethe di fondere nella sua riflessione elementi filosofici e religiosi appartenenti alla tradizione occidentale come a quella araba e medio-orientale, dando così forma a un pensiero coerente e vitale.

Sotto il suo passo nascono i fiori offre al lettore non soltanto una ricostruzione della vita di Goethe – dalla sua prima lettura del Corano nel 1770 alla morte nel 1832 – e uno studio delle sue opere maggiormente ispirate dalla religione musulmana, ma anche l’occasione di riflettere sulla suggestione di un futuro europeo legato a “un Islam mitigato dai cieli del Mediterraneo”, un orizzonte di pace verso il quale, secondo gli autori, il poeta orientò le sue più profonde tensioni personali e intellettuali.

Rosario Crocetta se ne va e lascia il suo buco: una voragine nella carne viva della Sicilia, dovuta all’incapacità di un governo che solo l’impostura di una Rivoluzione da Pappagone ha potuto far sopravvivere per tutta una legislatura. Con la complicità dei leader politici nazionali, tutti indifferenti alle sorti del più importante pezzo di storia e di futuro messo al centro del Mediterraneo. E con la sciagurata devastazione sociale conseguente alla bugia delle bugie: l’Autonomia regionale, motore primo della corruzione, degli sprechi e del sottosviluppo. Come in un copione in costante aggiornamento, la terra delle contraddizioni torna a farsi protagonista, con l’urgenza che la cronaca reclama. Attori in scena, con il governatore uscente, i suoi folcloristici assessori, i maledetti piromani che ogni estate tornano a incendiare ettari di terra sull’altare delle convenienze e i furbi che si fanno beffe dei fessi. Ma anche i giganti eterni che fanno grande la Sicilia, come Andrea Camilleri, e poi i caduti, che raccontano la storia di un ritorno, come Totò Cuffaro. Il risultato è un’istantanea impietosa e sagace, sconsolante nella nuda verità e al tempo stesso esilarante nelle dinamiche che ritrae. Dopo Buttanissima, ecco Strabuttanissima Sicilia per raccontare i guai della terra che dannandosi si ama, una terra che pur davanti all’evidenza del baratro si rifiuta di voler imparare dai suoi errori. Aveva ragione Tomasi di Lampedusa. E noi, purtroppo, torto. Nulla, infatti, cambia.

Anton Cechov diceva che se in un romanzo compare una pistola, bisogna che spari. È un principio fondamentale della narrazione: romanzesca, cinematografica, teatrale. Ma non è affatto un artificio di scena: è semplicemente la realtà. Perché, dati alla mano, nella vita accade esattamente la stessa cosa: se c’è una pistola è assai probabile che sparerà; e molte pistole molto spareranno. Il più delle volte nella direzione meno desiderata. Il mantra della «difesa facile», dei «cittadini con la pistola», non è che illusione e imbroglio, un percorso illogico e irrazionale, che – nella realtà dei fatti e dei numeri, qui esposti in tutta la loro disarmante evidenza – ci rende più nudi, più insicuri, più vittime. Succede in ogni luogo e in ogni ambito in cui la ricetta è stata cucinata.

Abbiamo impegnato secoli di civiltà per guadagnare un valore fondante: lo Stato ha il diritto e il dovere di assicurare la difesa dei cittadini e di provvedere alla loro sicurezza. Non si può che esigerlo. Rinunciarci, per propugnare il «fai da te», è tanto una regressione quanto una follia. Lo slogan dispensato con rassegnata leggerezza: «Visto che lo Stato non ci difende» non è che illogica e controproducente calata di braghe. Non possiamo che tornare a sottoscrivere ciò che ancora oggi è scolpito sul cornicione della questura di Lecce: «Tutto nello Stato, niente al di fuori dello Stato, nessuno contro lo Stato». Rifuggendo da illusorie scorciatoie.

Chi è di destra, poi, tenga a mente che la difesa «fai da te» non è di destra affatto. E tutti quanti, che una forma compiuta di privatizzazione delle armi gli italiani la conosco già fin troppo bene: si chiama mafia.

Ogni giorno, Pietrangelo Buttafuoco – col suo zaino da pendolare – entra in metropolitana, si ritrova tra le pagine di un incantesimo e ne fa cronaca. Ogni giorno affronta il viaggio sotterraneo e ne ricava una nota per il proprio quaderno. Incontri straordinari nell’ordinario levarsi dell’alba. Storie d’innamorati, struggenti malie, canzoni, dediche ed epiche vissute tra i sedili, i corrimani e le scale mobili delle linee nascoste nel sottosuolo. Reticoli che si dipanano poi nel groviglio seducente di transiti ferroviari, viaggi in automobile e passeggiate lungo strade di un mondo piacevolmente svelato agli occhi dell’immaginazione. Un esercizio di osservazione destinato al taccuino. Un canovaccio di messa in scena, che strappa la realtà alla quotidianità per svelare, nel godimento di un solo istante riflesso sui finestrini di un vagone, la verità della poesia.

Agostino Tassi, pittore, nel 1611 inizia con l’affermato amico Orazio Gentileschi a decorare il Casino delle Muse a Roma. A fine febbraio 1612 Orazio gli intenta un processo per avere abusato della figlia Artemisia, anch’essa pittrice di talento. Questo processo si trasforma in uno dei più clamorosi eventi dell’epoca, suscitando innumerevoli dicerie che diffamano di volta in volta Artemisia, Agostino e lo stesso Orazio. «C’è solo una notte nell’immaginario occidentale. Ed è la notte di Agostino Tassi, detto lo Smargiasso. È la notte dei quadri, degli affreschi di logge e sale del luogo malfamato per eccellenza, il Seicento. … Alla fine di un doloroso e umiliante processo davanti all’Inquisizione, il bigamo Tassi si libera di Artemisia con uno sbadiglio…»: a 60 anni dal celebre Artemisia di Anna Banti e della sua lettura in chiave femminista, Pietrangelo Buttafuoco, col suo stile tagliente e provocatorio, ci propone un’inedita interpretazione “dalla parte di Agostino”.

Leo Longanesi è stato un innovatore polemico e anticonformista, uno scrittore di grande rilievo che ha incarnato la migliore tradizione del giornalismo italiano e trasmesso il suo spirito alla casa editrice che ha fondato. Un vero enfant terrible, un fustigatore impietoso, i cui scritti conservano ancora a distanza di anni la stessa capacità di fissare vizi e virtù del nostro Paese: le poche eccellenze, i tantissimi limiti.
In occasione dei suoi settant’anni di vita e di pubblicazioni, la casa editrice Longanesi festeggia il suo fondatore con un’antologia che ne raccoglie ricordi, aforismi e tutti gli scritti più sferzanti e corrosivi. Questa raccolta, curata da Pietrangelo Buttafuoco – che di Leo Longanesi si è sempre nutrito – ci restituisce, con la grandissima personalità di colui che amava definirsi «un carciofino sott’odio», uno dei capitoli più importanti della commedia italiana.

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