Giosuè Calaciura è nato a Palermo nel 1960.
È scrittore e giornalista. Nel 1998 ha pubblicato il suo primo romanzo Malacarne (Baldini & Castoldi, riedito nel 2022 da Sellerio), seguito da Sgobbo (Baldini & Castoldi Dalai, 2002, Premio Selezione Campiello 2002), La figlia perduta. La favola dello Slum (Bompiani, 2005), Urbi et Orbi (Baldini & Castoldi Dalai, 2006), l’antologia di racconti Bambini e altri animali (Sellerio, 2013), Pantelleria (Laterza, 2016), Borgo Vecchio (Sellerio, 2017) Premio Marco Polo Venise 2019 per il miglior romanzo italiano tradotto in Francia e Prix Mediterranée 2020, Il tram di Natale (Sellerio, 2018) Premio Presidi del Libro «Alessandro Leogrande» 2019, Io sono Gesù (Sellerio, 2021) Premio Alvaro Bigiaretti 2022. Il suo ultimo romanzo è Una notte (Sellerio, 2022).
È autore di radiodrammi e della trasmissione Fahrenheit di Rai Radiotre. Collabora con riviste e giornali.
Giosuè Calaciura racconta gli avvenimenti di una notte straordinaria, affidando a uomini e donne senza potere e ricchezza la visione di un mondo nuovo e rivoluzionario.
È la notte del primo Natale. Gli annunci sono precisi: sta per nascere il bambino che cambierà le sorti di ciascuno. Molti lo attendono, radunati nel folto della campagna, davanti a una stalla dove sempre si è consumata la Passione degli animali. Sono gli ultimi, i poveri, gli emarginati, per la prima volta trascinati nella Storia che sino a quel momento ha registrato solo le vite dei potenti. E molti lo temono: la nascita del bambino promette di spezzare le catene del privilegio e ridicolizzare l’arroganza dei ricchi.
Come nell’avanspettacolo si piange e si ride insieme ai protagonisti di un presepe in bilico tra tradizione e fantastico, desiderio di giustizia – sempre frustrato – e il quotidiano calvario di uomini e donne. Padri, madri, bambini, pastori, prostitute, soldati, i poveri di spirito, gli animali e i re magi si animano per raccontare con stupore la loro storia. Sono piccole, straordinarie esistenze sospese tra riscatto e sconfitta, la promessa del regno dei cieli e la crudeltà di sempre.
Giosuè Calaciura torna al suo laboratorio delle narrazioni con ironia e poesia, plasmando un sentimento di meraviglia che anima le gioie, gli amori, l’infelicità, l’avventura della vita conservata e trattenuta nelle «figure» eternamente in viaggio nei nostri presepi d’argilla. Una notte è un romanzo libero da ogni vincolo, affilato nella struggente tensione tra la sacralità delle vite e la furia di una fantasia letteraria che rispetta e blandisce, celebra e dissacra.
La mafia come non l’ha mai raccontata nessuno prima. Un’epopea di orrori e sacrilegi nel racconto fiume di un killer senza nome e volto che scorre inesorabile e impetuoso verso l’esplosione finale per lasciare spazio al silenzio attonito delle coscienze. A trent’anni dalle stragi di Cosa Nostra che hanno cambiato il volto dell’Italia.
Malacarne è stato pubblicato per la prima volta venticinque anni fa, e rimane, ancora oggi, un romanzo fulminante. Con la fredda lucidità di un esame radiografico attraversa storie riconoscibili, personaggi familiari, per rivelare il corpo tumefatto, malato delle nostre società. Sembrano mutati i sintomi ma la patologia è la stessa. Stupisce la scrittura fluviale, lingua magmatica che prende in ostaggio, trascinando il lettore in un’avventura senza tregua, senza fiato, dove si fondono e si confondono poesia e trivialità, fantascienza e mattinali della questura, fumetto e verismo, ironia e disperazione, delirio e verità della condizione umana nel Meridione: «il nostro mondo preistorico nel cuore della modernità» dove la vita segue «il destino naturale di morte violenta». È la visionaria confessione – a tratti profetica – di un sicario che vittima dopo vittima, massacro dopo massacro, ricostruisce l’epopea raccapricciante e prodigiosa della città senza nome, forse Palermo: dalla centenaria marginalità dei quartieri popolari alla centralità miliardaria del traffico internazionale di stupefacenti. Protagonisti, la voce di un killer che conosce il prima e il dopo, il suo giudice muto e la violenza: unica forma di comunicazione, esclusiva rappresentazione del mondo. Nella spirale della ricchezza ottenuta con le pallottole i criminali hanno movenze settecentesche e le esecuzioni vengono decise con i numeri della tombola di Natale. Tra vicoli e mercati, tra piazze e lungomare, tra sgabuzzini della latitanza e camere della morte, carnefici e vittime s’inseguono in un girotondo macabro e surreale: un grottesco girone infernale dove Dio non riesce a trovare le anime di chi è stato sciolto nell’acido. Nella postfazione originale che arricchisce questa edizione, Giosuè Calaciura torna indietro con la memoria all’esperienza che è stata l’origine di questo libro e – forse – della sua scrittura.
Un giovanissimo viandante in un cammino pieno di sorprese, passioni e tradimenti, dolcezza e violenza. È il Gesù di Calaciura. Strutturato quasi come un feuilleton o una serie televisiva, punteggiato di colpi di scena, innervato da una tensione costante, nel suo nuovo romanzo l’autore reinventa una delle storie più grandi mai raccontate.
Un irrequieto adolescente fugge dalla madre, dagli obblighi quotidiani, dal villaggio povero e opprimente, e si mette alla ricerca del padre. In realtà insegue il suo passato, la comprensione del mistero della sua nascita, degli enigmi della sua infanzia, perché la madre è silente, forse non ricorda, o forse non vuole parlare. Solo il padre potrebbe fare il miracolo di restituirgli la memoria. Ma il padre non c’è più, ha abbandonato la famiglia.
Il nome di quel ragazzo è Gesù, Maria e Giuseppe i genitori, Nazaret e la Galilea lo spazio delle sue avventure, del suo bisogno di amore, del dolore e della timidezza che sempre lo accompagnano. E il Gesù di Calaciura è un giovanissimo viandante in un cammino pieno di sorprese, passioni e tradimenti, dolcezza e violenza. Attorno a lui uomini e donne che sono figli di una terra con leggi spietate, il feroce dominio romano con la sua inarrivabile macchina bellica e governati va, l’autorità religiosa e morale dei sacerdoti, l’arroganza e lo sfarzo dei ricchi, la brutalità di chi si pone al di fuori della società e depreda i più deboli, la disperazione di chi non trova nemmeno un’oliva per nutrirsi o una pozza per dissetarsi. È un tempo inquieto, stravolto da cambiamenti profondi, il nuovo e il vecchio, l’antico e il moderno collidono e si sgretolano, nessuno più di un ragazzo tormentato dal desiderio e dall’ansia del futuro è capace di avvertire il battito sotterraneo di una rivoluzione in arrivo. Di cui, senza davvero volerlo, sarà protagonista.
Punteggiato di colpi di scena, innervato da una tensione costante, il romanzo di Calaciura racchiude in sé l’impeto dell’avventura e dell’epica, l’intrigo familiare, la paranoia del sospetto, la tensione del mistero irrisolvibile. Vi si ritrovano molti dei suoi temi: l’infanzia e la difficoltà di crescere, l’innocenza delle creature più fragili, la miseria morale degli adulti, l’irruenza dell’eros. Ma qui si radicalizzano, fino al punto di contaminare e reinventare una delle storie più grandi mai raccontate.
Un tram, che si fa immaginare come isola di luce nel buio della notte di Natale, viaggia nell’estrema periferia. Dentro porta un mistero, fragile e abbandonato. Salgono povere persone che hanno finito la giornata. La prostituta deportata dall’Africa, il suo disgraziato cliente, il clandestino che vive di espedienti, l’artista vinto dalla malattia, l’infermiera assediata dalla solitudine, il ragazzo che non riesce a mettere insieme la cena per la compagna e la figlia. Vanno verso la notte di vigilia che li aspetta, o che semplicemente non li aspetta. Ciascuno porta con sé, nei pensieri, nel ricordo, sul corpo, una storia diversa e complicata, che parla di loro stessi e di altri, ma pur sempre impastata di impotenza e di rabbia. Ma quel mistero gettato in fondo ai sedili, dietro la cabina dell’autista assuefatto all’indifferenza, li raccoglie tutti insieme, come un presepe viaggiante, miraggio di salvezza. Per quanto ognuno di loro senta che non c’è salvezza fuori da quel tram di Natale. Nella sua prosa fortemente lirica, che ha la capacità di modularsi ai momenti del racconto, quasi di musicarli, Giosuè Calaciura con gli strumenti della letteratura ci restituisce l’urgenza, la profondità e le contraddizioni del nostro tempo. Alla Dickens (il cui Canto di Natale questo racconto apertamente richiama), senza timidezze nel mettersi decisamente dalla parte della denuncia e dell’impegno.
Lo scopo è quello di affermare che la società ha una sostanza umana irrinunciabile e di mostrarne il tenace desiderio di esistere. Così, libro dopo libro, Calaciura va componendo un romanzo delle strade che non hanno nome.
Nelle metropoli esistono spesso delle zone che sembrano concentrare in poche strade l’energia, il carattere, l’oscurità, la violenza e la bellezza della città intera, come fossero un condensato di vita, una versione raggrumata e forte dei sapori di ogni angolo e piazza. Questo è il quartiere di cui racconta Calaciura, una manciata di viuzze nel cuore di Palermo nelle quali si rispecchia e deforma ogni vizio e virtù, cuore e budella, miseria e ricchezza. Qui vivono Mimmo e Cristofaro, bambini e amici fraterni, Carmela e sua figlia Celeste, Totò il rapinatore e l’amico che lo tradirà, qui si allevano cavalli per le corse e si truccano le bilance delle salumerie, mentre i latrati del traghetto si confondono con i lamenti causati dai pugni di un padre ubriaco. Da un lato c’è il mare, col suo vento che scombina gli odori in vortici ballerini, portando fragranza di carne sin dentro le case di chi carne non mangia mai. Dall’altro c’è la piana distesa della città, coi suoi negozi, le signore benestanti, la legge e le guardie. Nei vicoli l’odore del pane sfornato due volte al giorno suscita un tale stupore che ciascuno si segna con la croce, magari mentre le forze dell’ordine prendono d’assedio il quartiere e ne presidiano gli accessi. Ma la città più grande non può soffocare le sue viscere, il suo cuore, perché lì si è posata la sua anima, lì si intravedono i miracoli e la meraviglia di ogni giorno, la fierezza e l’efferatezza dell’antico, del presente, la speranza del futuro.